mercoledì 28 dicembre 2011

Una scena tragica in Carnia

Il ricordo di quella tragica scena è ancor vivo nell’animo mio. Era la sera del 17 gennaio 1917. Verso le ore 16 il cielo si andava coprendo di una densa cortina di nubi, e tutto faceva presagire una nottata burrascosa. Un gruppo di finanzieri - undici - riparati sotto un improvviso ricovero, erano dietro a preparare il vitto per la 58ª Compagnia, che lottava in quei giorni con le insidie della montagna e con quelle del nemico, accampato poco lungi dal ricovero stesso.
Al tramonto la volta del cielo era quasi completamente coperta dalle nuvole, le quali avanzavano sempre più minacciose, spinte dalla violenza del vento.
Essendo vicina l’ora del rancio, io, che ero in turno di riposo, mossi per primo verso la baracca. Ma avevo appena fatti pochi passi quando, fra un immenso fragore, vidi un enorme masso di roccia rotolare e precipitare di colpo sopra il ricovero dove erano i miei poveri commilitoni.
Fu una scena raccapricciante. Un coro di urli disperati si levò dal cumulo delle macerie, poi seguì un silenzio di morte. Il turbinio della neve sollevata dal precipitar di quei massi, mi offuscò per qualche istante la vista e quando cessò rimasi come inerte a fissare il luogo della sciagura.
Frattanto, richiamati dal fragore, ecco sopraggiungere alcuni finanzieri, con alla testa il Capitano Francesco Caligara, e dietro di loro alcuni bersaglieri ed alpini con i loro ufficiali.
In un baleno fu organizzata una squadra di soccorso e tutti ci mettemmo al lavoro con affannosa lena animati dalla speranza di salvare almeno qualcuna di quelle giovani vite.
I primi macigni cominciarono a rotolare per la vallata mentre il nostro Capitano andava intercalando agli ordini parole di commiserazione per le povere vittime. Col pianto nella gola chiamò più volte per nome quei miseri, poi a un tratto scoppiò in singhiozzi accorati.
A notte alta, sotto la neve, sferzati dal vento che soffiava sempre più violentemente, lavoravamo ancora. Ma il Capitano - considerata la inanità dei nostri generosi sforzi - ci ordinò di sospendere dicendoci che all’alba avrebbe chiamato sul posto una squadra del Genio affinché facesse rotolare quei massi enormi per mezzo delle mine.
Infatti, al sorgere del sole, sopraggiungeva la squadra del Genio militare, e verso le ore 12, dopo fatiche indicibili, appariva ai nostri occhi esterrefatti un lembo di giubba intriso di sangue.
Scavammo, scavammo ancora e al fine - uno dietro l’altro - riuscimmo a dissotterrare i corpi delle povere vittime. Ma in che stato!
Di undici, riuscimmo, a stento a riconoscerne, appena cinque. Gli altri sei erano ridotti a tanti brani di carne maciullata. La morte aveva sfigurati i loro volti!
Salutati con il cuore i resti di quegli undici infelici, li seppellimmo degnamente e con austera cerimonia, ed ora dormono il loro sonno eterno fra le bianche vette della Carnia.
Ma nell’animo di chi scrive essi vivono tuttora, né il tempo cancellerà il ricordo di quella funesta giornata.


Il sig. Ten. Col. FRONCILLO Giuseppe, testimone oculare, in data 21 maggio 1942, così mi scrisse:
<<…Vivo è poi ancora in me il ricordo di quella tragica scena verificatasi in Carnia il 17 gennaio 1917, ed i nomi di tutti quei CADUTI mi sono scolpiti nel cuore e nella mente. I fatti da te narrati sono fedeli in ogni particolare>>.


Testimonianza tratta dal VADE-MECUM del Graduato della Guardia di Finanza - XI edizione del 10 gennaio 1956 - scritto dal Maresciallo Maggiore Terra della Guardia di Finanza (c.a.) Rosario LEOTTA - Casa Editrice C.I.T.E.M. Compagnia Industriale Tipografica Editrice Meridionale.




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