sabato 31 dicembre 2011

La Grande Guerra sui Lagorai

Di particolare interesse sono i numerosi resti dei baraccamenti militari del conflitto mondiale del 1915-1918, parte dei quali ben arroccati su inaccessibili creste rocciose. Non è nemmeno raro imbattersi ancora in resti di utensili militari e a riguardo è consigliabile il passaggio (per altro obbligato per la translagorai) al Rifugio Cauriol (m. 1600) che conserva al suo interno una discreta collezione di oggetti ritrovati (scarpe, padelle, armi, utensili, libri). Ma ora un pò di storia, descritta molto sommariamente, ma utile ad acquisire uno sguardo più critico, attento e rispettoso durante le escursioni in questi luoghi.
Correva l’anno 1915 quando la 90ª Divisione di Fanteria austro-ungarica stava appostando la controffensiva alle truppe italiane, che stavano avanzando da sud, proprio sul Lagorai.
Scelse questa catena proprio per le sue caratteristiche morfologiche. Verso sud si presenta come una lunga bastionata rocciosa interrotta solo da stretti passaggi obbligati, che provvide a rafforzare ulteriormente con una fitta rete di trincee, teleferiche, mulattiere, casermette e gallerie.
L’Italia schierava invece la 15ª Divisione composta dalla Brigata Venezia, Brigata Abruzzi, Battaglioni Alpini Feltre e Val Cismon, il 2° Reggimento Bersaglieri e l’84° Reggimento di Fanteria.
Il 24 Maggio 1915 gli italiani iniziarono l’avanzata in questo settore attestandosi inizialmente sulle direttrici di Forcella Valsorda, Cima d’Arzon, Stretta di Pralongo, Val Regana e Forcella Magna.
Nei mesi successivi conquistarono Monte Cima, Cima Rava, Cima D’Asta, Passo Cinque Croci e il Castellazzo nei pressi del Passo Rolle.
Nell’estate del 1916 le azioni di punta nel Lagorai vennero brillantemente condotte dal Magg. Gen. Giuseppe Ferrari a capo del "Nucleo Ferrari". L’attacco venne sferrato il 21 luglio 1916 dopo alcuni giorni di avanzate notturne nei punti chiave di Forcella Ceremana, Passo Colbricon e Cavallazza. L’effetto sorpresa portò fruttuosi risultati che fecero retrocedere le truppe austro-ungariche sul Piccolo Colbricon, mentre la scoscesa cordigliera di Ceremana e Vallon era saldamente in mano al "Nucleo Ferrari".
Nell’agosto dello stesso anno l’attenzione si spostò contemporaneamente verso Cima Cece e il Monte Cauriol.
La prima doveva essere un’azione diversiva per indebolire la controffensiva all’azione principale, che si sarebbe tenuta sui fianchi sud-est del Monte Cauriol da parte degli alpini del Battaglione Monrosa e sud-ovest dagli alpini del Battaglione Feltre.
Entrambe le avanzate fruttarono prima la conquista di Cima Cece, Forcella di Cece e Forcella Valmaggiore e successivamente, anche sul settore principale, il Monte Cauriol.
Quest’ultima battaglia è tristemente nota per i sanguinosi scontri che portarono al massacro corpo a corpo di entrambi gli eserciti sotto i furiosi colpi di artiglieria.
Da Cima Cece l’occupazione dei reparti italiani si aggiudicò anche il Coltorondo (14 settembre), il Cardinal (23 settembre) e la quota 2456 della Busa Alta (5 ottobre).
Quell’anno ebbe purtroppo inizio un rigidissimo inverno che contribuì ad aggravare le perdite di vite, già altissime in quell’anno su entrambi i fronti a causa delle valanghe che spazzarono via interi reparti e il freddo che martoriò in particolare le postazioni più in quota.
Al termine dell’inverno si censirono sommariamente in tutto il settore del Lagorai, dall’inizio della guerra, circa 10.000 morti solo fra le truppe italiane.
Da quel momento in poi, l’idea di una discesa degli italiani fino in Valle di Fiemme fu abbandonata a causa dell’indebolimento dell’esercito subìto soprattutto durante il precedente inverno.
La guerra sul Lagorai divenne così guerra di trincea mirata solo al mantenimento delle posizioni.
Fu la battaglia del Piave nel 1918 che sancì la disfatta dell’esercito austriaco e il relativo ritiro verso nord.
Le truppe italiane scesero a Cavalese l’11novembre 1918.

Entrata del Comando sulla Cavallazza Piccola


Il Colbricon con vestito invernale


Il Cauriol


La Busa Alta vista dal Cardinal


Il Cauriol visto dal Cardinal


La Catena dei Lagorai vista da Cima Cece


Postazione su Cima Cece


In vetta al Cauriol

mercoledì 28 dicembre 2011

Una scena tragica in Carnia

Il ricordo di quella tragica scena è ancor vivo nell’animo mio. Era la sera del 17 gennaio 1917. Verso le ore 16 il cielo si andava coprendo di una densa cortina di nubi, e tutto faceva presagire una nottata burrascosa. Un gruppo di finanzieri - undici - riparati sotto un improvviso ricovero, erano dietro a preparare il vitto per la 58ª Compagnia, che lottava in quei giorni con le insidie della montagna e con quelle del nemico, accampato poco lungi dal ricovero stesso.
Al tramonto la volta del cielo era quasi completamente coperta dalle nuvole, le quali avanzavano sempre più minacciose, spinte dalla violenza del vento.
Essendo vicina l’ora del rancio, io, che ero in turno di riposo, mossi per primo verso la baracca. Ma avevo appena fatti pochi passi quando, fra un immenso fragore, vidi un enorme masso di roccia rotolare e precipitare di colpo sopra il ricovero dove erano i miei poveri commilitoni.
Fu una scena raccapricciante. Un coro di urli disperati si levò dal cumulo delle macerie, poi seguì un silenzio di morte. Il turbinio della neve sollevata dal precipitar di quei massi, mi offuscò per qualche istante la vista e quando cessò rimasi come inerte a fissare il luogo della sciagura.
Frattanto, richiamati dal fragore, ecco sopraggiungere alcuni finanzieri, con alla testa il Capitano Francesco Caligara, e dietro di loro alcuni bersaglieri ed alpini con i loro ufficiali.
In un baleno fu organizzata una squadra di soccorso e tutti ci mettemmo al lavoro con affannosa lena animati dalla speranza di salvare almeno qualcuna di quelle giovani vite.
I primi macigni cominciarono a rotolare per la vallata mentre il nostro Capitano andava intercalando agli ordini parole di commiserazione per le povere vittime. Col pianto nella gola chiamò più volte per nome quei miseri, poi a un tratto scoppiò in singhiozzi accorati.
A notte alta, sotto la neve, sferzati dal vento che soffiava sempre più violentemente, lavoravamo ancora. Ma il Capitano - considerata la inanità dei nostri generosi sforzi - ci ordinò di sospendere dicendoci che all’alba avrebbe chiamato sul posto una squadra del Genio affinché facesse rotolare quei massi enormi per mezzo delle mine.
Infatti, al sorgere del sole, sopraggiungeva la squadra del Genio militare, e verso le ore 12, dopo fatiche indicibili, appariva ai nostri occhi esterrefatti un lembo di giubba intriso di sangue.
Scavammo, scavammo ancora e al fine - uno dietro l’altro - riuscimmo a dissotterrare i corpi delle povere vittime. Ma in che stato!
Di undici, riuscimmo, a stento a riconoscerne, appena cinque. Gli altri sei erano ridotti a tanti brani di carne maciullata. La morte aveva sfigurati i loro volti!
Salutati con il cuore i resti di quegli undici infelici, li seppellimmo degnamente e con austera cerimonia, ed ora dormono il loro sonno eterno fra le bianche vette della Carnia.
Ma nell’animo di chi scrive essi vivono tuttora, né il tempo cancellerà il ricordo di quella funesta giornata.


Il sig. Ten. Col. FRONCILLO Giuseppe, testimone oculare, in data 21 maggio 1942, così mi scrisse:
<<…Vivo è poi ancora in me il ricordo di quella tragica scena verificatasi in Carnia il 17 gennaio 1917, ed i nomi di tutti quei CADUTI mi sono scolpiti nel cuore e nella mente. I fatti da te narrati sono fedeli in ogni particolare>>.


Testimonianza tratta dal VADE-MECUM del Graduato della Guardia di Finanza - XI edizione del 10 gennaio 1956 - scritto dal Maresciallo Maggiore Terra della Guardia di Finanza (c.a.) Rosario LEOTTA - Casa Editrice C.I.T.E.M. Compagnia Industriale Tipografica Editrice Meridionale.




martedì 27 dicembre 2011

Il giro della Grande Guerra

Tra le cime delle Dolomiti, negli inverni più freddi del secolo, si combattè una guerra unica nella storia dell'uomo. Kaiserjager austriaci e Alpenkorps germanici da una parte e gli Alpini dall'altra si affrontarono in alta montagna in condizioni ambientali e climatiche estreme, tra incredibili difficoltà di rifornimento di viveri e di materiali. A partire dal 24 maggio 1915 fino a novembre 1917, la linea del fronte tagliò le montagne più elevate e famose delle Dolomiti. Il vento, il freddo delle alte quote, le slavine divennero il vero nemico dei soldati. Più che una battaglia tra eserciti contrapposti, quella divenne una guerra dell'uomo contro la montagna.
Quanto ancora rimane su queste cime testimonia la tenacia ed il coraggio di chi fu chiamato a combattere sulle pareti di roccia.
Trincee, postazioni e gallerie costellano ancora oggi la linea del fronte.
Le feritoie che si aprono sulle montagne indicano i ricoveri in cui i soldati vivevano o le postazioni di artiglieria e di mitragliatrici contro cui si esaurirono i loro continui inutili attacchi.
L'itinerario, quindi, percorre il fronte dolomitico e gira attorno al Col di Lana, il colle di sangue, simbolo della Grande Guerra.
Lungo il percorso si incontreranno postazioni, gallerie e feritoie costruite dai soldati italiani, austro-ungarici e tedeschi per far fronte al nemico e alla vita in alta quota durante la Prima Guerra Mondiale.
E' un percorso ricco di storia che vi porterà nei paesaggi più spettacolari delle Dolomiti, oltre al gruppo del Sella e della Marmolada, anche del Civetta, del Pelmo, delle Cinque Torri, delle Tofane, del Lagazuoi, del Conturines, del Settsass e del Sassongher.
Il giro della Grande Guerra è alla portata di tutti, adulti e bambini.






Fotocartolina - Gruppo di militari austriaci


Nitida fotocartolina del 1917-18 ritraente un gruppo di militari austro-ungarici del tardo periodo bellico. Alcuni di loro indossano infatti mostrine a barretta e altri hanno sulle controspalline le fascette con le sigle dell’unità adottate con la riforma del 1917. In basso a destra un militare indossa un cinturone Ersatz in canapa.



 

Il fatto di Carzano

Era la notte tra il 17 e il 18 settembre 1917 e la linea del fronte correva lungo il torrente Maso, con gli italiani schierati ad est e gli austriaci ad ovest. Il comando italiano aveva preso degli accordi segreti con il tenente sloveno Pivko di stanza a Carzano: la guarnigione austriaca a guardia del paese era stata narcotizzata e rinchiusa nella chiesa e la corrente che alimentava i riflettori era stata staccata. Il tenente Pivko ed i suoi uomini guidarono le avanguardie del 72° Battaglione bersaglieri dell'esercito italiano attraverso i reticolati nella parte bassa del paese. Le sentinelle austriache vennero uccise e gli italiani si spinsero nel centro di Carzano e poi verso Telve.
Secondo i piani, i circa 40.000 soldati italiani schierati dietro il torrente Maso avrebbero dovuto approfittare del varco creato dai bersaglieri, travolgere le scarse difese austriache e dirigersi velocemente verso Caldonazzo, dove si trovava l'Imperatore Carlo d'Asburgo e da qui a Trento.
La prima fase dell'operazione si svolse come previsto, ma poi qualcosa andò storto. L'allarme austriaco suonò verso l'una di notte ed il comandante italiano di Strigno tergiversò nel far avanzare le truppe verso Carzano, inviando meno di 1.000 soldati e dando poi l'ordine di sospendere l'attacco. Si perse così del tempo prezioso e gli austriaci riuscirono a riorganizzare le difese. Il 72° fu così accerchiato e annientato nel corso di un furioso combattimento corpo a corpo.
Numerosi bersaglieri furono fatti prigionieri e circa 900 soldati morirono nella sfortunata operazione militare e furono sepolti in fosse comuni nei dintorni del paese.
La "battaglia di Carzano", che secondo alcuni storici avrebbe addirittura potuto evitare la tragedia di Caporetto, si concluse quindi in una tragica disfatta.


Testo tratto dalla pubblicazione "ECOMUSEI DEL TRENTINO"
Ecomuseo del Lagorai
Sede: presso il Municipio di Telve - Piazza Vecchia, 18
Telefono: 0461 - 766714

Sito ufficiale
Informazioni


lunedì 26 dicembre 2011

Strada delle 52 Gallerie del Pasubio

La strada delle 52 Gallerie fu costruita dalla 33ª Compagnia Minatori del 5° Reggimento del Genio durante la 1ª Guerra Mondiale, più precisamente tra marzo e dicembre del 1917.
E' lunga complessivamente 6300 metri, dei quali 2300 in galleria ed i restanti ricavati a mezza costa.
Ha inizio a Bocchetta Campiglia a quota 1216 metri, in una insellatura prativa, raggiungibile dal Passo Xomo e da Ponte Verde. Il sentiero sbocca alle porte del Pasubio a quota 1928 metri regalando, lungo il tragitto, suggestivi scorci panoramici sulla Val Camossara.
Alcune gallerie sono assai caratteristiche come ad esempio la 20ª che si sviluppa a forma di spirale all'interno di una guglia per uscirne quasi sulla sommità. La più lunga è la 19ª che supera i 300 metri. Quasi tutte le gallerie sono dotate di aperture dalle quali entra luce, ma ci sono comunque tratti assolutamente bui, tanto da rendere indispensabile una torcia elettrica.
E' sconsigliabile percorrerle durante l'inverno per la presenza di grandi accumuli di neve che talvolta ostruiscono completamente gli accessi alle gallerie: è piuttosto pericoloso anche se affrontato con la necessaria attrezzatura. D'estate invece rimane una piacevole e sicura passeggiata.
L'itinerario delle 52 gallerie termina una volta raggiunto il Rifugio A. Papa. Molto interessante è la visita della cosiddetta Zona Sacra, quella che fu teatro dei più violenti scontri tra le truppe italiane e quelle austriache, che si sviluppa a nord del citato rifugio e che culmina a Cima Palon (1.15 ore dal Rifugio A. Papa), la cima più alta del massiccio del Pasubio, da dove si può godere di un paesaggio a 360° veramente unico sulle Piccole Dolomiti e sulle Dolomiti.
Per la discesa ci sono due possibilità: la prima, banalmente, è ripercorrere a ritroso le 52 gallerie, che in discesa, in assenza della fatica, si possono apprezzare maggiormente, mentre la seconda è la strada degli Scarrubi.

Guerra di mine sul Colbricon

L'itinerario inizia dal parcheggio di malga Rolle, poco sotto il passo, a circa 1900 metri di quota. Di fronte a noi lo spettacolo maestoso delle Pale di San Martino. Qui si imbocca il sentiero 348 che si addentra nella fitta pineta del Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino. Una passeggiata di circa mezz'ora porta ai due laghetti di Colbricon a quota 1922 metri, incastonati in una conca boscosa, ai piedi della cima omonima. Questi specchi trasparenti, nelle giornate limpide, riflettono quasi magicamente il paesaggio circostante.
Aggirato il lago superiore e il piccolo rifugio privato aperto nei mesi estivi, si raggiunge il passo di Colbricon, da dove si diparte il sentiero 349. Si sale attraverso ripide balze rocciose per addentrarsi nell'ampia conca gliaciale racchiusa a nord dall'imponente parete del Colbricon Piccolo (2511 m.) e a sud dalle guglie della vetta superiore del Colbricon (2602 m.), divenuta famosa per gli episodi della prima guerra mondiale. In due ore di cammino si raggiunge la sella che separa il Colbricon dal Colbricon Piccolo a quota 2400 metri. Qui il territorio, seppur a tanti anni di distanza, ci parla ancora delle ferite inferte dalla Grande Guerra; feritorie e ricoveri si aprono a tratti lungo le pareti, mentre più su, sulla cima occidentale del Colbricon, gli aspri profili rocciosi parlano di una tremenda guerra di mine, che sconvolse l’orografia delle vette.
Il Colbricon e la vicina Cavallazza, alture dominanti il Passo Rolle, non rientravano originariamente nella linea di difesa allestita dagli austriaci nell’ipotesi di una entrata dell’Italia nel conflitto contro l’Impero. Tuttavia, con l’aprirsi del nuovo fronte di guerra, gli austro-ungarici occuparono entrambe le cime, fortificandole con avamposti nei mesi successivi.
Per tutto il 1915 le montagne non furono interessate dalle operazioni belliche, ma nel 1916, nel corso della controffensiva che l’esercito italiano tenne lungo le montagne della Val di Fiemme, il Colbricon divenne teatro di accesi scontri. Nel mese di luglio del 1916, con un’energica azione, gli italiani conquistarono la Cavallazza, il passo del Colbricon e l’omonima cima orientale. Nel mese di ottobre, dopo un fuoco d’artiglieria preparatorio, gli italiani conquistarono anche la cima occidentale del Colbricon. Gli austriaci tentarono un contrattacco che, seppur non diede i risultati sperati, permise di insediarsi poco sotto la vetta appena persa. Da queste postazioni prepararono l’azione di riconquista della cima occidentale del Colbricon, che venne condotta ad inizio novembre del 1916. Con una decina di scale collocate una vicina all’altra, gli austro-ungarici riuscirono a superare la parete rocciosa sorprendendo il presidio italiano.
Dopo la tregua forzata imposta dalle abbondanti nevicate, i due eserciti ripresero le ostilità nella primavera del 1917, con una distruttiva guerra di mine.
La cresta rocciosa tra la cima orientale italiana e quella occidentale austriaca era caratterizzata da tre guglie: nell’aprile del 1917 gli italiani fecero brillare la guglia più vicina alla cima occidentale, utilizzata dagli austriaci come avamposto per scorgere eventuali movimenti dell’esercito nemico.
Della ventina di uomini che componevano il presidio imperiale, si salvarono solo in quattro. Le operazioni di recupero delle vittime furono assai difficili, poiché lo scoppio della mina italiana fece crollare anche la galleria scavata nella neve, che collegava il presidio della guglia alla cima occidentale del Colbricon.
Decisi a conquistare completamente il Colbricon, gli italiani progettarono una galleria per far saltare l’intera cima occidentale. Gli austro-ungarici, appena si accorsero delle intenzioni della parte avversa, iniziarono lo scavo di una caverna di contromina, ma poiché erano privi di mezzi meccanici dovettero lavorare manualmente e la galleria progrediva soltanto di 30 centimetri al giorno. Ritenendo di poter saltare in aria da un momento all’altro, ridussero il numero di uomini del presidio posto sulla vetta della montagna. Contestualmente progettarono un’azione per individuare l’ingresso della galleria italiana e dedurne la direzione. A mezzanotte dell’11 luglio 1917 scattò “l’azione kiss” che, condotta con una cinquantina di uomini, permise la conquista della seconda e della terza guglia della cresta, ma non la distruzione della galleria italiana, il cui ingresso era situato in un posto protetto, poco sotto le alture rocciose. Gli austriaci riuscirono, tuttavia, a far saltare il deposito di esplosivo degli italiani.
Sorpresi dall’azione, gli italiani affrettarono i loro lavori e pochi giorni dopo, caricato il fornello di mina con 8000 kg di esplosivo, fecero saltare la montagna. La ridotta quantità di esplosivo, accanto al posizionamento non abbastanza vicino alla cima occidentale, distrusse ulteriormente il primo dente e parte della cima austriaca, senza però annientare il presidio.
Nel corso dell’estate gli imperiali, per difendere ciò che rimaneva del caposaldo, proseguirono lo scavo della loro galleria di contromina, ma gli italiani decisero di porre tra essi e il presidio austriaco un cratere tale da arrestare qualunque scavo. Nel mese di settembre del 1917 scoppiò la terza mina, che distrusse completamente il primo dente, del quale oggi rimangono solo detriti, lasciando però quasi indisturbato il presidio sulla cima occidentale del Colbricon, che fu bersagliato ripetutamente dalle artiglierie italiane. L’esito delle battaglie sul fronte dell’Isonzo, con la sconfitta italiana di Caporetto e il ripiegamento fino al Piave, allontanò la guerra dalle montagne fiemmesi e, nel mese di novembre del 1917, l’esercito italiano si ritirò dal Colbricon e dal Passo Rolle. Rimasero i segni del conflitto: dalla forcella fra le due vette del Colbricon è ben visibile, alzando gli occhi verso la cima occidentale, la devastazione causata dalla guerra di mine.

E’ su questa forcella che si chiude l’escursione; il rientro può avvenire attraverso lo stesso percorso, oppure si può proseguire lungo il sentiero 349 fino alla vicina forcella di Ceremana a quota 2428 metri, scenografico intaglio roccioso tra il Colbricon e cima Ceremana, presso la quale si notano ancora i resti del caposaldo militare austriaco che presidiava quella posizione. La forcella offre una splendida visuale, nelle belle giornate, sul gruppo delle Pale di San Martino. Da qui, un percorso più impegnativo conduce verso malga val Cigolera a quota 1880 metri e nuovamente al passo di Colbricon. I più allenati possono scendere attraverso la val Ceremana sul sentiero 337, lungo le retrovie austro-ungariche, ma devono lasciare un’auto presso il lago di Paneveggio e coprire un dislivello di circa 1000 metri.

Alta Via "Bepi Zac"

La ferrata del Costabella denominata Alta Via “Bepi Zac” è stata eseguita dai volontari del Soccorso Alpino di Moena nel 1981 ed inaugurata il 23 agosto dello stesso anno.
Inizia al Passo delle Selle (m. 2529) sale verso il piccolo Lastei (m. 2713) e percorre in quota la catena del Costabella (m. 2579), forcella Ciadin, Cima Vallate (m. 2832), punta Ciadin (m. 2919) e Cima Uomo (m. 3003).
E’ un sentiero vario ed assai interessante soprattutto per le innumerevoli opere che le truppe alpine austro-ungariche ed italiane hanno lasciato un po’ dappertutto. Anche in questo caso, in linea di massima, il tracciato segue quasi per intero il sentiero militare della guerra 1915/1918, sfruttando ponti di legno, gallerie, scalette scalfite nella roccia e inoltre usufruendo di corda metallica nei punti più faticosi ed esposti.
Difficoltà eccessive dal Passo delle Selle alla forcella Ciadin non se ne trovano. Un solo passaggio crea qualche ostacolo per chi non ha un minimo di confidenza con la roccia. Comunque, anche qui, a parte il primo impatto, si riesce a superare il punto cruciale senza traumi, purché normalmente attrezzati.
Quando il sentiero è in galleria è interessante osservare tutte le derivazioni in essa ricavate per creare posti di osservazione nei punti più impensati.
Vi sono torrioni di roccia sforacchiati in ogni direzione e ciò da l’idea del lavoro immane eseguito dalle truppe alpine durante la prima guerra mondiale.
Giunti in prossimità della cima Costabella, vale la pena lasciare per un attimo il sentiero segnato per visitare la camera delle sentinelle, costruita dagli alpini italiani nell’agosto del 1917, dalla quale potevano controllare i movimenti delle truppe austro-ungariche, sia verso il Passo delle Selle che verso la valle di San Nicolò.
Dopo la Cima Costabella, seguendo il sentiero che attraversa il costone sul versante della Valle San Pellegrino, si giunge alla forcella del Ciadin e di qui si può proseguire verso Cima Uomo o scendere a valle.
Il tratto di ferrata dalla forcella del Ciadin a Cima Uomo è assai più impegnativo ed esige maggior preparazione e l’accompagnamento di gente esperta di montagna o di una guida alpina.
Per fare il giro completo del sentiero occorre una giornata intera.
E’ consigliabile partire molto presto al mattino, in caso di stanchezza durante il tragitto, si tenga presente che ad ogni forcella si può scendere verso il Passo di San Pellegrino.


sabato 24 dicembre 2011

Bivacco Redolf


LE OPERE REALIZZATE PER INIZIATIVA
DELL’AZIENDA DI MOENA


Una <<ferrata>> e due bivacchi
lungo i crinali delle Bocche

Il tracciato della via attrezzata ripercorre i luoghi che furono teatro degli epici scontri tra i soldati italiani e austriaci durante la prima guerra mondiale - Costruite anche quattro postazioni di sosta

E non piovve. Ancora prima delle sette del mattino la piazza antistante al palazzo municipale ha visto radunarsi, puntualissimi, i moenesi e tra loro l’assessore provinciale al turismo Claudio Betta (in perfetta tenuta alpinistica), il comandante della Scuola Alpina delle Fiamme Gialle maggiore Giovanni Dassori, don Fortunato Rossi di Soraga, il maresciallo Quinto Romanin della Scuola Alpina delle Fiamme Oro, gli operatori della TV, la stampa, tutti increduli che dopo una notte di forte pioggia e con l’igrometro su massimi valori le nubi, quasi sornione, stazionassero pigramente sul cielo di Moena lasciando spazio di tanto in tanto ad avari squarci di sereno. Si parte, in auto, verso il Passo Lusia.La cerimonia è troppo importante: si tratta di inaugurare due bivacchi, quattro postazioni di sosta, una via attrezzata, che sono costati all’Azienda Autonoma di Soggiorno anni di lavoro e molti milioni. Serio impegno, quindi. E’ comunque doveroso riferire che la Provincia di Trento ha aiutato in maniera determinante l’attuazione delle opere, sia finanziariamente, sia con la messa a disposizione dell’elicottero (pilotato da Moviola e Simonetti), grazie al quale sono stati trasportati decine di quintali di materiale e persino l’acqua occorrente a quota 2700 per la costruzione del secondo bivacco. Va pure detto che anche la Magnifica Comunità di Fiemme ha voluto contribuire per la realizzazione delle attrezzature di cui s’è detto. Ma proseguiamo il viaggio.Poco meno di tre chilometri sulla statale che porta al Passo di San Pellegrino, altri cinque lungo la strada in terra battuta che, toccando il rifugio Resila giunge poi al Passo Lusia: davanti al rifugio omonimo le macchine si fermano. Possiamo così notare la presenza delle rappresentanze dei Vigili del Fuoco, della Squadra del Soccorso Alpino, delle Guide Alpina, delle FF.GG. di Predazzo, delle FF.OO. di Moena, del maestro di sci Damolin, dell’ex sindaco Bez, di alcuni reduci della prima guerra mondiale (hanno combattuto proprio nella zona di Bocche), anziani alpinisti quali i noti Tomaso Defrancesco e l’ingegnere Bruno Federspiel e di molti altri.Moena è proprio tutta presente, osserviamo. <<Non esattamente>>, ci viene risposto. Sarebbe? <<Manca chi rappresenta il Comune>>. L’arrivo di due elicotteri ci distoglie dall’argomento. Paolo Catona, incaricato di girare un film sulla manifestazione carica frettolosamente su uno dei velivoli il materiale da cinematografaro e si fa trasportare dal noto pilota Abram su cima Bocche.Non c’è dubbio, pensiamo, l’organizzazione è perfetta. Presidente e direttore dell’AAS sorridono soddisfatti.


NUMEROSE PERSONALITA’ HANNO PARTECIPATO
ALL’INAUGURAZIONE DELLE OPERE

Al rifugio con salsicce, polenta e vino

Mentre il grosso della comitiva si avvia a piedi verso il Lastè, l’altro elicottero comincia a fare la spola tra il passo Lusia ed il lago Lusia: impiega tre o quattro minuti per ogni viaggio. Noi impiegheremo circa un’ora e mezzo. Le nubi si diradano, il panorama delle Pale (perfido il Cimone scoperto) premia la breve fatica.
Il bivacco (quota 2.333) è in muratura: una lapide ricorda che è stato dedicato a Sandro Redolf, assessore comunale e membro del consiglio dell’AAS prematuramente scomparso. Come bivacco è piuttosto capace. Quattro cuccette, alcune panche, camino e cucina. In caso di necessità può ospitare molte persone, un pò strette, ovviamente, ma al coperto. Un bel lavoro davvero.
Arriva con elicottero monsignor Fortunato Rossi, supera gli ottant’anni, ma scende dal velivolo come un ragazzo.
E’ l’ora della messa: nella selvaggia conca di Bocche (aspra e forte, direbbe il poeta) ritorna il silenzio. Don Rossi ricorda i cruenti combattimenti svoltisi nella zona durante la guerra 1915-18 e auspica un mondo di pace.
Dietro al bivacco sta cuocendo la polenta in giganteschi paiuoli. Centinaia di salsicce emanano dalla enorme griglia un profumo che fa agitare i presenti. Ma ci sono anche grandi forme di formaggio locale. Il vino, abbondante, è di quello tipico. Tutto scompare in poco tempo. Viene anche un pò di sole. Tony Gross, intervenuto alla cerimonia in rappresentanza delle guide alpine del resto della valle, sale in elicottero ed Abram lo porta, con l’assessore Betta, a fare un giro di ricognizione. Parliamo con diversi gitanti. Cosa fate ora? <<Andiamo a provare la nuova ferrata>>. E ci va anche l’assessore al turismo della provincia, in perfetta tenuta alpinistica. Il coro rimane a dà sfogo a tutto il suo repertorio. Ardelio Turri ha tenuto un lungo ed applauditissimo discorso. Citati e ringraziati i materiali esecutori delle opere (Tobia Zanon, Valerio Defrancesco, Giuseppe e Domenico Sommariva) e la squadra di volontari che hanno collaborato (Adriano Damolin, Claudio e Fabrizio Weber, Federico Avico, Franco Bellante, Fabrizio Defrancesco, Settimo Rossini, nominato il progettista Armando Leopardi e messa in risalto la fatica di Federico Bellante, consigliere dell’Azienda Turistica che ha speso molte giornate per seguire i lavori dando validi e preziosi consigli) il suo grazie è andato alla Provincia, alla Comunità di Fiemme, alle Fiamme Gialle, al loro comandante Dassori, ai suoi uomini che hanno dato fondamentale aiuto nella costruzione della ferrata del Gronton (Fernando Dellantonio, Aurelio Nones, Giovita Casali, Emilio Ciammetti, Natale Corradini, Ivo Poletti, Mauro Bontempelli e Silvano Zorzi).
Ha poi messo in risalto le peculiarità invernali del Lusia e del San Pellegrino, sottolineando l’importanza delle anzidette zone agli effetti del turismo estivo ringraziando ancora una volta la stampa, la televisione, la radio, gli operatori cinematografici, che hanno contribuito a far conoscere le località. Il suo discorso è continuato a lungo avendo toccato l’aspetto storico della catena di Bocche, teatro di sanguinosi scontri nel corso della prima guerra mondiale.
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Articolo tratto dal quotidiano "ALTO ADIGE" di lunedì 25 agosto 1980


Alcune immagini del Bivacco Redolf, oggi



 

Cima Bocche

La Cima Bocche è nota per la gran quantità di reperti della Grande Guerra, conseguenza del lungo conflitto che si ebbe dal 1915 al 1917.
Italiani posizionati su Cima Iuribrutto, austriaci su Cima Bocche che resistettero per 29 lunghi mesi ai continui assalti dei fanti italiani che lasciarono sul terreno migliaia di morti. Ancora oggi fra i sassi di dolomite e calcare dei canaloni e delle pietraie si possono trovare frammenti di ossa umane. La carneficina cessò nel novembre 1917 quando le truppe italiane ripiegarono dopo la rotta di Caporetto.

Il nostro itinerario inizia da Malga Vallazza a quota 1935 sulla strada che sale da Paneveggio al Passo Valles.
Imbocchiamo il sentiero 631 a sinistra della malga che immediatamente inizia a salire in un bosco di abeti con bellissimi panorami che si aprono verso Passo Valles. Usciti dal bosco la mulattiera piega a sinistra e ci troviamo su un piccolo pianoro che attraversiamo diagonalmente. Oltrepassata la piana ci affacciamo nel vallone di Iuribrutto. Il lago è poco più in basso dove lo raggiungiamo in breve per un sentiero ripido in discesa.Dopo la sosta d'obbligo sulla riva proseguiamo il persorso ancora in discesa su terreno seguendo i classici segnavia bianchi e rossi. Ad un bivio con tabelle ci viene indicata Forcella Iuribrutto. Attraversiamo il Rio di Iuribrutto salendo costantemente per il sentiero. Arriviamo su un piccolo tratto pianeggiante in una verde conca attraversata dal ruscello (m. 2295). Da qui, salendo ancora un ultimo tratto, raggiungiamo la Forcella Iuribrutto, dove troviamo un utile riparo. A destra un sentierino conduce sulla Cima Iuribrutto, davanti a noi ne scende uno al Passo San Pellegrino, noi invece seguiamo a sinistra il segnavia 628 passando sotto una parete di roccia ed entriamo in una zona di grandi
massi. Seguiamo con attenzione gli ometti e i segnavia in quanto la traccia di sentiero in questo luogo è praticamente sparita. Il sentiero diventa più ripido ma agevole fino ad uscire su una sella rocciosa. A sinistra il sentiero 626 scende a Malga Bocche, noi proseguiamo a destra, in salita lungo il crestone che scende da Cima Bocche, tra resti di trincee, baraccamenti e fortificazioni, matasse di filo spinato, lamiere, schegge, paletti di legno.
Passiamo accanto ad una grotta ricovero con in basso il vallone che scende da Forcella Iuribrutto.
Sempre seguendo il costone, costeggiamo tratti di trincea, a volte anche al loro interno ed arriviamo ad un bivio con tabelle. Poco più in basso, a 10 minuti di distanza, si trova il Bivacco Renato Jellici. Continuiamo verso l’ormai vicina Cima Bocche per un ultimo tratto di salita e raggiungiamo il crocefisso di vetta. Da qui ammiriamo uno stupendo ed immenso panorama sulle Dolomiti, il Latemar, il Catinaccio, il Sassopiatto con il Sassolungo. Poi il gruppo del Sella, la Cima Uomo, la Marmolada, il Sorapiss e poco più lontano l'Antelao; e ancora, la vicina Cima Iuribrutto, il Civetta, il Mulaz, le Pale di San Martino e la Catena dei Lagorai; in basso l'abitato di Moena e sotto il Passo San Pellegrino.












La Cavallazza Piccola

Inizio questo mio cammino insieme a voi proponendovi un primo itinerario su una piccola vetta piena di storia.
La Cavallazza Piccola (m. 2310).
Con molta attenzione percorriamo alcuni tratti del sentiero che scendono a precipizio sulla valle, abbastanza esposti ma non troppo lunghi, comunque ben attrezzati con corda metallica.
Lo spettacolo è splendido ma attenzione a dove mettete i piedi ed evitate se soffrite troppo di vertigini.
In cima un torrione roccioso completamente scavato all'interno da caverne, con aperture sui vari versanti, gallerie e camminamenti della grande guerra.



Il panorama dall'interno di una delle camere delle gallerie è da togliere il fiato.
In questo caso una bellissima veduta sul Castellazzo.






Alcune foto di Cima Cavallazza Piccola